Metaverso. Euforia e distopia

Metaverso. Euforia e distopia

Negli ultimi mesi del 2021 ho letto spesso articoli, post e video titolati: Il Metaverso sta arrivando, oppure Il Metaverso è già qui. Per un cryptofan e markettaro come me, il metaverso dovrebbe essere una gran figata, dato che unisce perfettamente marketing digitale e criptovalute. Eppure ho subito avvertito una sensazione sinistra a riguardo, che mi ha spinto ad approfondire l’argomento e sue possibili implicazioni nella società.

Cos’è il metaverso?

Partiamo da Wikipedia che lo definisce uno spazio condiviso virtuale collettivo, creato dalla convergenza della realtà fisica virtualmente migliorata e dello spazio virtuale fisicamente persistente, citando il padre putativo del termine: il romanziere Neil Stephenson. Tornerà.

Il termine metaverso è un collage, o per dirla più finemente un portmanteau del prefisso meta (che significa oltre, o dopo dal greco antico) e universo.

In soldoni lo potremmo catalogare come un luogo virtuale sviluppato nelle tre dimensioni, permanente e pervasivo dove fare più o meno quello che puoi fare nella realtà, attraverso un tuo avatar (personaggio virtuale) e mediante l’utilizzo di supporti specifici come il visore 3D.

L’ascesa inarrestabile del metaverso

Come saprai, il termine è apparso alle luci della ribalta quando Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, ha annunciato il cambio di nome e di identità della sua azienda: da Facebook a Meta, svelando una direzione precisa per lo sviluppo futuro del colosso tecnologico.

Il signor Zuckerberg ha anche affermato che il metaverso pervaderà la vita quotidiana, offrendo nuove strade per l’acquisto di beni e servizi, comunicare con amici e familiari e collaborare con i colleghi, riuscendo a fornire “l’esperienza più importante di tutte: il collegamento con le persone.” (WTF!?)

Satya Nadella, CEO di Microsoft, ha immediatamente seguito a ruota, annunciando con grande clamore che il metaverso offre un antidoto alla mancanza di connessione umana.

E allora ecco Matthew Ball, un venture capitalist, che commenta fragoroso: “La maggior parte delle aziende ora vede che il metaverso è dietro l’angolo […]La narrazione è un po’ avanti rispetto alla realtà di queste tecnologie, ma questa è una risposta all’enormità delle opportunità”.

E ancora David Baszucki, il fondatore della piattaforma di gioco nel metaverso Roblox: “Il metaverso è probabilmente un grande cambiamento nella comunicazione online come il telefono o Internet”

Euforia, potenzialità infinite, rivoluzione, presenza, soldi a pacchi.

A vederla così il metaverso sembra davvero essere la Next Big Thing tecnologica dopo l’avvento dell’iPhone. In effetti, si dice che ogni grande innovazione tecnologica percorra una parabola di 15 anni prima di iniziare ad essere sostituita. È appena uscito iPhone13. Come direbbe Crozza-Zaia: Ragionateci sopra.

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The Next Big Thing

In campo economico, le aziende porteranno le loro strategie di marketing in un mondo virtuale vergine e inesplorato, dove una montagna di dati a disposizione sarà utilizzata per ottimizzare le performance di vendita. Nasceranno le ricerche di mercato sugli utenti nel metaverso, dove le abitudini di comportamento e acquisto saranno completamente diverse dal mondo fisico e dove l’interazione con i bot e gli assistenti virtuali sarà sempre più mischiata con l’interazione tra persone reali e avatar.

Abbigliamento, abitazioni, attività commerciali e persino animali da compagnia avranno un valore e potranno essere venduti o acquistati: Hai già sentito parlare della bolla immobiliare nel metaverso? Per descriverlo con le parole di Kevin Kelly, dall’articolo di Wired Welcome to the Mirrorworld, “stiamo costruendo una mappa del mondo in scala 1:1. Qualcosa di una portata quasi inimmaginabile. Quando sarà completa, la nostra realtà fisica si fonderà con l’universo digitale”.

Piattaforme come Roblox, The Sandbox, Decentraland o Axie Infinity hanno già iniziato questo processo, e nel 2021 la valutazione dei loro token, la moneta digitale che sostiene i rispettivi ecosistemi, è schizzata di oltre il 1000%.

L’origine del metaverso

Ricordi Neil Stephenson? È lui, scrittore di fantascienza, che nel 1992 ha coniato il termine metaverso nelle pagine di Snow Crash: un romanzo distopico su un’America al collasso invasa dalla violenza e dalla povertà. In questo contesto il metaverso funge da intrattenimento e da ventre economico per una nazione povera e disperata, letteralmente governata da colossi tecnologi. Ti ricorda qualcosa?

L’eroe di Snow Crash si chiama Hiro, un corriere che di notte racimola qualche straordinario facendo l’hacker informatico e vive di stenti in una micro-casa condivisa con un coinquilino alcolizzato. Schiacciato in questa esistenza priva di luce, Hiro passa moltissimo tempo nel metaverso; una fuga necessaria da una realtà diventata semplicemente insopportabile.

Nel metaverso di Snow Crash, gli utenti selezionano un avatar per rappresentare il proprio io digitale. Maggiore è la risoluzione digitale, maggiore è il costo dell’avatar, creando di fatto una stratificazione di caste sociali basate sulla definizione video crescente.

Come spesso accade, la fantascienza anticipa la realtà. La mia opinione è che, ad oggi, nessuno sappia veramente come sarà il metaverso, nemmeno quelli che lo stanno progettando. Ad ascoltare i vari luminari coinvolti, da Zuckerberg a Nadella, faccio fatica a capire cosa stanno cercando di dipingere nella nostra immaginazione. Permangono vaghi concetti di “presenza” e di “vicinanza” condite con una certa dose di fantasie adolescenziali, oltre all’unica vera convinzione: fare un mucchio di soldi.

Un aneddoto. Nel 2017, il fondatore di Facebook decise di fare un “tour virtuale” nell’isola di Puerto Rico appena devastata da un uragano. Una via di mezzo tra turismo apocalittico (disaster tourism) e spot promozionale. Il suo avatar sorridente vagava per le vie allagate e le case devastate. Esclamò: “Una delle cose davvero magiche della realtà virtuale è che puoi avere la sensazione di essere davvero sul posto.”

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Distopia metaversale

Forse sarebbe il caso di aprire una discussione matura sull’argomento perché, come recita il titolo di un articolo su Fortune, We can’t walk blindly into the metaverse. Non possiamo incamminarci ciecamente nel metaverso.

Oltre l’aurea rivoluzionaria, oltre il primo bagliore di giustizia universale del Web3.0, potremmo frantumarci contro la tokenizzazione di qualsiasi cosa, ideale ed estrema continuazione della monetizzazione di qualsiasi cosa iniziata con la finanza degli anni ’70.

La nostra vita nel metaverso rischia di ridursi ancora, di diventare qualcosa in meno, di continuare l’inesorabile perdita dell’integrità individuale e della capacità di stringere legami durevoli con gli altri.

“Il metaverso non è mai stato una fantasia sulla realtà virtuale, ma solo una fantasia sul potere”.  Ian Bogost

Stiamo creando una copia del mondo perché abbiamo finito le risorse e le idee per quello reale? Oppure saremo in grado di costruire un luogo migliore, sperimentando soluzioni utili da traslare da questa parte dello schermo? Forse dovremmo parlarne, e magari immaginarlo insieme, secondo la vocazione nativa della decentralizzazione.

Finora mi sembra che l’appalto del metaverso sia nelle mani una manciata di uomini, bianchi, occidentali, che nessuno ha scelto, per il semplice fatto di avere i soldi per farlo.


Emilio Dal Bo

Un imprenditore digitale con la nostalgia degli esami universitari, un life hacker che ama riflettere sulla contemporaneità. Caratteri Media è il progetto culturale che raccoglie i segnali caleidoscopici della contemporaneità per condividerli attraverso approfondimenti tematici e la divulgazione della saggistica contemporanea.
Corro, medito, mi addormento quasi sempre al cinema, viaggio dove fa molto caldo e adoro i carboidrati.

COLLABORIAMO?

Emilio Dal Bo

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